Dal Quotidiano Sanità del 18 dicembre 2023
Il calo della popolazione è frutto di una dinamica naturale sfavorevole, caratterizzata da un eccesso dei decessi sulle nascite, solo in parte compensata da movimenti migratori con l’estero di segno positivo. Il nuovo record di minimo delle nascite (393mila) contrapposto a un elevato numero di decessi (715mila) genera un saldo naturale della popolazione fortemente negativo, pari a circa 322mila unità in meno
Al 31 dicembre 2022 la popolazione in Italia conta 58.997.201 residenti. Rispetto al 2021 si registra una flessione pari a -32.932 individui, a sintesi di un calo significativo dovuto a una dinamica demografica ancora negativa pari a -179.416 persone e di un recupero censuario pari a + 146.484 persone. A evidenziarlo è l’Istat nel report Popolazione residente e dinamica demografica Anno 2022.
Il calo della popolazione è frutto di una dinamica naturale sfavorevole, caratterizzata da un eccesso dei decessi sulle nascite, solo in parte compensata da movimenti migratori con l’estero di segno positivo. Il nuovo record di minimo delle nascite (393mila) contrapposto a un elevato numero di decessi (715mila) genera un saldo naturale della popolazione fortemente negativo, pari a circa 322mila unità in meno. La dinamica naturale presenta valori negativi in ogni ripartizione geografica: il tasso di crescita naturale, pari al -5,5 per mille a livello nazionale, varia dal -4,8 per mille del Mezzogiorno al -6,2 per mille del Centro. Nel complesso tutte le Regioni registrano nel 2022 una crescita naturale negativa, anche nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (-0,6 per mille), tradizionalmente caratterizzata da una natalità superiore alla media.
Nuovo record negativo per la natalità
I nati residenti in Italia sono 393mila nel 2022, con un tasso di natalità del 6,7 per mille. Si rilevano quasi 7mila nascite in meno rispetto al 2021 (-1,7%), e ben 183mila in meno (-31,8%) rispetto al 2008, anno in cui il numero dei nati vivi registrò il più alto valore dall’inizio degli anni Duemila. I nati da genitori entrambi stranieri sono 53mila e costituiscono il 13,5% del totale dei nati. L’incidenza è più elevata nelle Regioni del Nord (19,3%) dove la presenza straniera è più radicata e, in misura minore, in quelle del Centro (15,1%); nel Mezzogiorno è invece inferiore (5,4%). I nati da genitori in cui almeno uno dei partner è straniero (20,9% del totale dei nati) continuano a decrescere nel 2022, attestandosi a 82mila unità.
La diminuzione delle nascite è in gran parte determinata dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni), oltre che dalla continua diminuzione della fecondità. Nel 2022 il numero medio di figli per donna è pari a 1,24, valore in lieve calo rispetto all’anno precedente (1,25) e in linea con il trend decrescente in atto dal 2010, anno in cui si registrò il massimo relativo di 1,44 figli per donna. Il Centro presenta la fecondità più bassa, pari a 1,15 figli per donna; era 1,19 nel 2021 (Figura 3). Il Nord e il Mezzogiorno registrano nel 2022 un uguale livello di fecondità (1,26), risultato di due variazioni opposte rispetto all’anno precedente: un calo nel Nord (da 1,28 nel 2021) e un aumento nel Mezzogiorno (da 1,25). Nel Nord, dove la fecondità negli anni Duemila era aumentata, i livelli di fecondità continuano la loro discesa; al contrario, il Mezzogiorno presenta nell’ultimo anno un lieve aumento, dovuto a un recupero di progetti familiari rinviati dal biennio pandemico. Il massimo valore di fecondità (1,64), si registra nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen, mentre la Sardegna continua a detenere il valore minimo (0,95).
Per il totale delle donne residenti, l’età media al parto rimane stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni, mentre l’età media alla nascita del primo figlio si attesta a 31,6 anni. L’età media al parto è più alta nel Centro e nel Nord (32,8 e 32,5) rispetto al Mezzogiorno (32,0). In quest’ultima ripartizione si rileva sia la Regione con le madri mediamente più giovani d’Italia, la Sicilia (31,4), ma anche le Regioni con quelle più mature, la Basilicata (33,1) e la Sardegna (32,9). Queste ultime registrano anche il più basso tasso di fecondità, la cui diminuzione è legata anche alla continua posticipazione dell’esperienza della maternità che si tramuta sempre più in una definitiva rinuncia. Con riferimento alla cittadinanza, si confermano le differenze tra italiane e straniere: le prime hanno in media 1,18 figli per donna e un’età media al parto pari a 32,9 anni, le seconde hanno invece una fecondità più alta (1,86) e un’età media al parto più bassa (29,5).
Prevalente la quota femminile nella popolazione residente
Le donne, superando gli uomini di 1.367.537 unità, rappresentano il 51,2% della popolazione residente. Il rapporto di mascolinità (che esprime il rapporto percentuale tra le componenti maschile e femminile della popolazione) è pari a 95,5 uomini ogni 100 donne. Il peso della componente femminile è progressivamente maggiore man mano che cresce l’età, per via della maggior longevità femminile. Se nelle classi di età più giovani (fino alla classe 35-39 anni) si registra una leggera prevalenza della componente maschile, si raggiunge l’equilibrio tra i sessi nella classe 40-44 e, progressivamente, si rileva una presenza sempre maggiore di donne a partire dalla classe 45-49 che esplode tra i grandi anziani: nella classe 80-84 anni le donne sono il 58,0%, fino ad arrivare al 69,9%, al 77,9% e all’83,3%, rispettivamente, nelle classi 90-94, 95-99 e 100 e più. Come nel 2021, tra le Regioni il rapporto di mascolinità più alto si registra in Trentino-Alto Adige (97,7), quello più basso in Liguria (92,9) che è anche la Regione con il più alto indice di vecchiaia. A livello locale il rapporto di mascolinità può risultare superiore a 100. Tale circostanza si verifica in poco più di un terzo dei Comuni (contro il 23,5% del 2011), perlopiù in piccoli e piccolissimi centri. È il caso, ad esempio, di Salza di Pinerolo che, con appena 67 residenti, ha il rapporto di mascolinità più alto di Italia (191,3).
Prosegue l’invecchiamento della popolazione
A fine 2022 l’età media è pari a 46,4 anni per il totale della popolazione (47,8 anni per le donne 44,9 anni per gli uomini). Rispetto al 2021, quando l’età media era pari a 46,2 anni si consegue un ulteriore passo in avanti nel processo di invecchiamento della popolazione. Rispetto all’anno precedente diminuisce di poco il peso percentuale degli individui in età 0-9 anni e quello degli individui in età 35-49 anni. Aumenta, invece, di poco quello degli individui in età 55-79 anni. L’invecchiamento della popolazione è un processo che accomuna tutte le realtà del territorio pur in presenza di una certa variabilità. La Campania, con un’età media di 43,9 anni (era 43,6 nel 2021), continua a essere la Regione più ‘giovane’ mentre la Liguria, con un’età media di 49,5 anni (era 49,4 nel 2021) si conferma quella più ‘anziana’.
Orta di Atella (CE) si conferma il Comune più ‘giovane’ d’Italia con un’età media di 36,9 anni (era 36,6 nel 2021), mentre Ribordone (TO), un Comune con appena 50 abitanti, è quello con l’età media più alta, pari a 65,5 anni. Il progressivo invecchiamento della popolazione, ben visibile nella piramide delle età, è ben evidenziato anche dal diretto confronto tra la numerosità degli anziani e quella dei giovani. Continua, infatti, a crescere l’indice di vecchiaia (che misura il numero persone di 65 anni e più ogni 100 giovani di 0-14 anni) che passa dal 187,6% del 2021 al 193,1% del 2022 (era pari al 148,7% nel 2011). Valori più bassi di tale indicatore afferiscono alla Campania e al Trentino-Alto Adige (rispettivamente 148,6% e 150,8%), mentre il valore più alto si registra in Liguria (270,8%).
Nel 2022 la speranza di vita alla nascita evidenzia un valore di 80,6 anni per gli uomini e di 84,8 anni per le donne a livello nazionale. Rispetto al 2021 solo gli uomini presentano progressi, grazie a un incremento di circa 4 mesi di vita in più. Per le donne, invece, il valore della speranza di vita alla nascita rimane invariato. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano però ancora più bassi rispetto a quelli del periodo pre-pandemico, con una speranza di vita alla nascita inferiore di circa 6 mesi rispetto al 2019, sia tra gli uomini sia tra le donne. Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 81,0 anni per gli uomini e di 85,2 anni per le donne; i primi recuperano circa due mesi e mezzo sul 2021, mentre le seconde ne perdono uno. La Provincia autonoma di Trento è l’area del Paese, tra le Regioni, con la più alta speranza di vita alla nascita sia tra gli uomini (82,1 anni) sia tra le donne (86,3). Le Regioni del Centro, tranne che per le donne residenti in Umbria, presentano un uniforme incremento di sopravvivenza, anche se lieve, rispetto al 2021: per gli uomini l’incremento è di circa 4 mesi, mentre per le donne di circa 2 mesi e mezzo.
Il Mezzogiorno evidenzia a sua volta incrementi sul 2021 in linea con quelli del Centro, ma rivela al suo interno una situazione più eterogenea. In alcune sue Regioni si registrano incrementi superiori al mezzo anno di vita (in Puglia e in Molise, in quest’ultimo caso limitatamente agli uomini), in altre si assiste a un peggioramento della situazione, in particolare in Sardegna, dove gli uomini perdono circa mezzo anno di vita e le donne circa uno. La Campania, con valori della speranza di vita alla nascita di 79 anni per gli uomini e di 83,1 per le donne, resta la Regione dove si vive meno a lungo
Segnali positivi si registrano per i movimenti migratori, mostrando, rispetto al 2021, incrementi moderati nei flussi migratori interni e incrementi più marcati per le iscrizioni dall’estero, cui si accompagna una riduzione dei flussi in uscita dal Paese. La differenza tra entrate (411mila) e uscite (150mila) con l’estero restituisce un saldo migratorio netto pari a +261mila, il più alto osservato negli ultimi 11 anni. Il tasso migratorio con l’estero, pari al 4,4 per mille in media nazionale, varia dal 3,2 per mille del Mezzogiorno al 5,1 per mille del Centro. I movimenti tra Comuni hanno coinvolto 1 milione 471 persone, il 3,4% in più sul 2021. Il Nord, con un saldo migratorio interno positivo di 58mila unità, conferma la propria vocazione di area più attrattiva del Paese, mentre prosegue la perdita di popolazione nel Mezzogiorno (-67mila). La popolazione di cittadinanza straniera, pari a 5 milioni e 141mila unità al 31 dicembre 2022, è in aumento di 111mila individui sull’anno precedente (+2,2%), raggiungendo un’incidenza sulla popolazione totale dell’8,7%.
Nel 2022 la dinamica naturale della popolazione straniera residente è ampiamente positiva in tutte le Regioni, ma in calo rispetto agli ultimi anni. La diminuzione, sia dei nati stranieri (53mila, -6,8% rispetto al 2021) sia dei decessi di stranieri (10mila, -1,3%), determina un saldo naturale di 43mila unità che, seppure positivo, si riduce del 7,9% rispetto al 2021 e del 22,1% rispetto al 2019. Tra gli stranieri risultano in ripresa le immigrazioni (336mila, +38,1% sul 2021) e in calo le emigrazioni (51mila, -20,9%), producendo un saldo migratorio con l’estero, ristretto ai soli cittadini stranieri, di 286mila unità. In termini di bilancio ottenuto nell’anno, le acquisizioni della cittadinanza italiana rappresentano una significativa voce in uscita per la popolazione straniera, in entrata per quella italiana: nel 2022 se ne contano 214mila, il 76,0% in più rispetto al 2021.
Decessi ancora sopra quota 700mila e speranza di vita in crescita solo per gli uomini
Nel 2022 i decessi sono stati 715mila, 342mila (il 48%) dei quali hanno interessato gli uomini e 373mila le donne (il 52%), per un tasso di mortalità complessivo pari al 12,1 per mille. Rispetto all’anno precedente il numero dei morti cresce di quasi 14mila unità con un incremento pari al 2%, in linea con l’intrinseca tendenza all’aumento, sottostante il progressivo invecchiamento della popolazione. Il più alto numero di decessi si è avuto durante i mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto. In questi soli quattro mesi si sono rilevati 265mila decessi, quasi il 40% del totale, dovuti soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato, nella maggior parte dei casi, individui anziani e/o fragili dal punto di vista delle condizioni di salute. Nel frattempo, infatti, cresce sempre più il processo di compressione della curva di mortalità nelle età molto anziane. Oltre 472mila deceduti, due su tre, presentano un’età maggiore o pari agli 80 anni, percentuale che nelle donne supera il 74% mentre per gli uomini si ferma al 57%. Il 47% dei decessi (333mila) si registra nel Nord. Al Centro i decessi sono 144mila (20%) e nel Mezzogiorno 237mila (33%). Rispetto al 2021 la ripartizione in cui si rileva l’incremento maggiore è il Nord (+3%); Centro e Mezzogiorno registrano aumenti, rispettivamente, del +1,2% e del +1,1%. In rapporto agli abitanti il Centro presenta una mortalità maggiore (12,3 per mille) rispetto al Nord (12,2 per mille) e al Mezzogiorno (11,9 per mille). Questa graduatoria tra ripartizioni, tuttavia, è indotta più da una diversa struttura per età delle rispettive popolazioni, più anziane quelle del Centro-nord, che da una reale diversità dei fattori di rischio che avvantaggerebbero il Mezzogiorno. Lo dimostra, nello specifico, il fatto che le condizioni generali di sopravvivenza risultano più favorevoli proprio nel Centro-nord, come testimonia l’indicatore sulla speranza di vita alla nascita.